La luce dentro

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Lucia Riani

La luce dentro

Incontri con l'anima

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Un interessante segnalibro...

Dalla Introduzione di D. Luigi Agostini

Ho appena finito di leggere tutto d’un fiato questo scritto che avrebbe meritato di essere assaporato. Ma oggi ero ingordo. Dovevo farne una presentazione e avevo mille ragioni per non farla. Ne elenco alcune:

  • sei”, e quindi lo scritto “è” femminile; io no.

  • Parla di luce, ma io ho più ascoltato la “carne” della “tenerezza”, quella di una carezza tentata e non data.

  • Hai ampiamente documentato il “senso” di quello che è il libro con precisi riferimenti culturali e psicologici e soprattutto con la maestria delle immagini.

  • Quindi ti presenti da sola!

  • Anzi: mi sono sentito dire: “Maschietti, fuori!”.

Impertinente maschietto ho da comunicarti un’impressione che nel leggere è rimasta sempre nell’ombra, cautamente invisibile: il Cuore Sacro, travolgente nel suo desiderio di amorevolezza immedesimata nell’atto disimmedesimato di sé. Sono infatti bellissime le pagine sull’amore.

A donna gentile che chiede è dovere di gentiluomo rispondere. Ma com’è difficile farlo! La lingua, il pensiero, il cuore, anche l’intelligenza colgono il senso e sono capaci di immedesimarsi in quello che tu descrivi; eppure non ho mai provato niente di simile, non ho mai pensato in quel modo: è come me, eppure è differente.

La presentazione dovrà essere per forza “differente”. Quante donne parlano nel tuo scritto! E solo tre uomini: il primo è un delicato scopritore di bambine ottocentesche; il secondo è il grande maestro Hillman; il terzo è lo psichiatra guida della tenerezza e del cuore sacro.

Come quarto ci sono io nei panni di lettore. Bisognerà che ti porti una ricotta e che con il mio gregge di cristiani (faccio il prete) trasmigri a primavera perché tu mi insegni a leggere e a scrivere al femminile e a ricamare i fiori dell’anima.

L’equilibrio fra i poli è l’arte dello psicoterapeuta e anche del pastore di uomini. Vedi, ogni creatura, in quanto è, è amata; ma è la prima cosa che dimentica. Lo scopre Rossella quando scrive: “Ero venuta al mondo da sola … Dio mi aveva voluto così!”. Con la perdita di questo senso pieno di amorevolezza di sé la paura ci avvolge, compreso quella di Dio. Ricordi Mosè? Era ebreo, giovane, allevato dal Faraone e quindi arrogante; appena arriva, ammazza un egiziano. L’arroganza lo aiuta ancora al pozzo con le figlie di Ietro e si sposa. Fa il pastore. Fine.

Scena seconda: arde un roveto. Con quel secco ti fa meraviglia? Ma non si consuma. Questa poi! Così si incontrano. Lui che non entrerà in Palestina per il suo caratteraccio e l’altro che gli illumina talmente il volto da dover andare velato. Il primo è Mosè; l’altro è Dio, la fiamma che non consuma. La carne, tremula perché mortale e vibrante d’amore e speranza, brucia ma non brucia: il cuore sacro della tenerezza brilla, ordina, libera, salva, ma non cambia nulla di ciò che è umano. Quando il cuore sacro pretende troppo e la tua vita rischia la distruzione, iddio non è in quella sacralità.

Anche nella Trasfigurazione succede la stessa cosa. Alla fine della luce rimane Gesù solo. Quello di prima. Quello di sempre.

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